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“Manuelle e Calarice”

Era una coppia che viveva in uno dei viottoli situati ai lati di Corso Umberto 1°. Lui faceva il ciabattino dei poveri. Non aveva mai commesse importanti. Forse non ha mai fatto neppure un paio di scarpe nuove. I suoi clienti erano solo i contadini del circondario che gli portavano le loro vecchie scarpe per farle risuolare… Il loro mangiare consisteva soprattutto nei cardi selvatici e nelle lumache che si trovavano abbondanti sotto le mura del paese cotti con un goccio d’olio e uno spicchio d’aglio… Eppure, a chi chiedeva loro “come va la vita?”, rispondevano sempre con grande serenità “sa fa’ ‘Ddije” (Dio provvede)! 

Avevano un figlio “Carminucce”, del quale ho parlato in altro racconto. “Calarice” era una donna minuscola. Pesava si e no una quarantina di chili, ma era, come si diceva, una “verre”, per la sua grande volontà di lavorare e di offrire servizi in cambio di piccoli compensi. L’assoluta povertà della famiglia non le consentivano neppure di comperarsi qualche vestito… Indossava abiti dismessi da altre donne più fortunate di lei. Faceva più viaggi lei da sola a prendere l’acqua alla sorgente del “Pisciarello” che tutte le altre donne messe insieme, per qualche spicciolo o per un po’ di vino o di olio… Se qualcuno, anche di notte, bussava alla sua porta per chiederle di andare a prendere delle medicine alla farmacia di Silvi Marina, scattava come una molla e in meno di mezz’ora andava e tornava correndo lungo le scorciatoie. Tutta la sua energia le veniva da un pezzo di pane, rimediato al forno del paese, bagnato in mezzo bicchiere di vino o da un piatto di minestra offertole dai vicini. L’unica loro proprietà erano tre galline che assicuravano le uova per il figlio Carminucce, per il quale sognavano un futuro migliore. ‘Manuelle trascorreva gran parte della giornata curvo sul desco fuori della porta di casa a riparare le scarpe. Unica compagnia era il canarino che cinguettava nella gabbietta appesa al muro… Capitava, talora, che alcuni lo chiamassero per fare i lavori di pulizia delle stalle del paese a cui si prestava volentieri per gaudagnarsi qualcosa. A questo proposito, un giorno accadde che “don” Antonio De Martinis, direttore dell’Ufficio postale lo chiamò per dare una pulita alla sua stalla e governare gli animali. Quando a sera don Antonio De Martinis andò alla sua stalla per verificare il lavoro fatto da ‘Manuelle trovò tutto perfettamente pulito e con il fieno nelle mangiatoie, mentre il ciabattino completamente ubriaco (perché era entrato nella cantina di De Martinis dove aveva preso da mangiare e, soprattutto, da bere)che, rivolto al cavallo, canticchiava balbettando: “tu t’acrjde ca’ ‘j mo’ ti strije, ma ‘j nin ti strije!...”. Don Antonio gli si avvicinò e lo fece nero con la frusta dicendogli: “tu t’acrideca ‘j mo’ ti paghe, ma ‘j nin ti paghe!”… ‘Manuelle ebbe un colpo di fortuna quando a Silvi venne il medico Bindi, primo medico del paese che si fece una bella casa con l’immancabile stalla e un piccolo orto in via San Rocco. Al medico serviva uno stalliere fisso per il suo cavallo che provvedesse pure a mantenere l’orto. ‘Manuelle corse subito e si offrì per fare quel lavoro. Non solo accudiva all’orto e alla stalla ma era d’aiuto al medico accompagnandolo a fare le visite nei casolari di campagna con la bichetta tirata dalla puledra “Stellina”, anche di notte quando si trattava di un parto o di una malattia seria. Insomma, si comportava bene ed era apprezzato dal medico e dalla sua famiglia. Man mano che trascorsero gli anni, ‘Manuelle iniziò a prendere uno strano vizio: da stalliere si trasformò in aiutante medico. Dava consigli agli anziani su come curarsi, faceva diagnosi e indicava rimedi. A completare l’opera fu il dottor Bindi che gli regalò un vecchio stetoscopio… Non potete immaginare come si sentiva medico mettendo al collo il vecchio e rotto stetoscopio! Ma il falso medico non si fermò a dare consigli ai vecchi. Un giorno ad una giovane che aspettava l’arrivo del medico, ‘Manuelle chiese quale fosse la sua malattia. La ragazza gli disse che sentiva battere forte il cuore. Il ciabattino-medico indosso lo stetoscopio e fece aprire la camicetta alla giovane, le fece dire più volte “33” mentre le massaggiava la schiena e, poi, le mise le mani dentro il reggiseno palpeggiandola con insistenza ed anche con forza!.. La cosa, sembra durò per qualche giorno fin tanto che la ragazza non si lamentò con il medico per il fatto che ‘Manuelle, quando la “visitava” stringeva così forte il suo seno da farle davvero male. A quel punto il dottor Bindi decise che era ora di mettere fine alle cattive abitudini assunte dal suo stalliere. L’occasione per dargli una definitiva lezione si presentò quando si ammalò il contadino Tobia, assai conosciuto in paese. Il medico, d’accordo con Rosinella, moglie di Tobia, preparò uno scherzo di classe a ‘Manuelle. Il dottor Bindi portò a Rosinella un vaso da notte nuovo e le disse: “domani mattina, quando vengo, fammi trovare del latte con cioccolato caldo dentro questo vaso da notte e me lo dai”. L’indomani il dottore, accompagnato da ‘Manuelle, si recò da Tobia. Rosinella gli mostrò il vaso da notte fumante. Il medico prese un cucchiaio e girò per bene il contenuto, dopo di che ne mangiò tre o quattro cucchiai pieni… Dopo di che disse rivolgendosi a Tobia: “va proprio bene, stai migliorando! Siccome domani ho molte visite urgenti da fareti manderò ‘Manuelle che ha imparato a fare le mie veci…”. ‘Manuelle tornò a casa che non stava nella pelle e riferì la cosa alla moglie dicendole che, ormai, si poteva considerare un “mezzo medico”. Il giorno successivo, alle cinque di mattino, ‘Manuelle era già al casolare di Tobia. Poiché il malato dormiva, Rosinella intrattenne ‘Manuelle preparandogli una sostanziosa colazione: tre uova fritte con peperone secco e un po’ di grasso e magro, oltre al fiasco di Montepulciano… Ad una certa ora Tobia, che dormiva di sopra, si svegliò e chiamò la moglie. Salì anche il ciabattino con lo stetoscopio già al collo. “Tusce ‘mpò, Tubbì, e dice 33”, gli disse facendo finta di auscultare i suoi bronchi e i polmoni. La visita del falso medico fu interrotta da Rosinella che portò, come il giorno prima, il vaso da notte…fumante. Questa volta, però, non c’era il cioccolato ma la cacca appena fatta da Tobia che, tra l’altro, la sera prima aveva mangiato fagioli!... Con l’aria da vero medico ‘Manuelleripetè il gesto del dottor Bindi: con il cucchiaio girò il contenuto del vaso da notte e poi se lo portò, carico di cacca in bocca. Al primo assaggio rimase interdetto, al secondo iniziò a vomitare anche l’anima!... A Silvi Paese per tanti anni rimase il detto: “’nin fa luprisintose come ‘Manuelle, se no t’attocche la m….!”.

 

Ottavio Scianitti

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