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Il Club Castrum Silvi

Silvi ha avuto una grande scuola di “maestri muratori” che derivava soprattutto dalle imprese artigiane dei Pacchione, dei Cichella (“Carpacice”) e dei Ciferni (Giosué). Quando ci fu la possibilità di emigrare in America (Stati Uniti e Canada) furono tanti i muratori di Silvi che scelsero di “andare a fare fortuna” al di là dell’oceano. Tra di loro c’erano i fratelli Vallescura Gino e Biagio, con i loro figli, che ben presto divennero una delle imprese edili più importanti di Toronto. Gino, il più giovane, parlava solo silvarolo, per il resto, comunque, si faceva capire con la mimica e con i gesti delle mani. Intanto i silvaroli presenti a Toronto aumentavano di giorno in giorno.

Così decidemmo di fondare il Club Castrum Silvi che contava più di 200 soci! Grandi cene, feste e balli che suscitavano l’ammirazione e l’interesse delle stesse Autorità comunali che ci misero a disposizione gratuitamente una grande sala di ricreazione (spicchjete, Gaità!...). Quintali di tagliatelle alla silvarola, porchette a non finire, lunghe partite a carte e casse di birra (il vino era proibito, purtroppo!...).  Le cose per noi avevano preso una buona piega. I soldi, i dollari, non ci mancavano; quasi tutti avevamo una nostra casa e facevamo, proprio come gli americani, i nostri week end ai laghi o in montagna… Insomma i tempi magri erano finiti. In uno dei nostri incontri al Club Antonio Costantini, il compianto “Coccia rosce” acceso comunista, fece una straordinaria proposta: “picchè – disse – ninfaceme qua ‘nachijese a Sante Lijone?”. La risposta fu pronta e affermativa. C’era chi voleva offrire i soldi per i campanile e chi per le campane!..Io, da appassionato di caccia, avevo un sogno: portare una bella squadra di giovani silvaroli con me a caccia nella tenuta di un mio amico canadese, Tom Word che mi aveva messo a disposizione un capannone e un piccolo trattore. Riuscii a metterne insieme dodici, molti dei quali non avevano mai visto com’era fatto un fucile! Rimasi sorpreso quando li vidi arrivare con giubbetti da cacciatore, scarponi e dodici Beretta nuove di zecca! Sembravamo un plotone di fanteria che si apprestava ad andare all’attacco… Arrivammo nel cuore della tenuta dove c’erano un laghetto costruito dai castori che era ghiacciato e un bosco di pini imbiancato dalla neve. Giuseppe, detto “la caccarette”, accese un gran fuoco e mettemmo subito mano alla “munchine”, una specie di grappa fatta in casa e ai galloni di vino portati da alcuni amici dagli Stati Uniti (che confinano con quella zona). L’amico Tom aveva preparato un bel maialino allo spiedo, io portai quattro chili di pancetta e la signora Mollie dodici dozzine di uova e un bel po’ di pane fatto in casa. Con tutte le calorie che quella grazia di Dio ci mise in corpo i 15 gradi sotto lo zero ci fecero…un baffo!..  Partimmo in diverse direzioni per la caccia. Riportammo pernici, lepri ed altra cacciagione in grande abbondanza tra l’allegria di tutti. Dopo il pranzo “zi frate” intonò alcune canzoni popolari silvarole e i quattro fratelli Leone, Osvaldo, Paolo e Agostino (detti “li santucce”) formarono un quartetto straordinario. All’imbrunire il capannone si illuminò con la musica di un fisarmonicista ungherese accompagnato dalla moglie al violino e si trasformò in una grande sala da ballo. Ben presto diversi contadini che abitavano nei dintorni si unirono a noi nella festa portando dolci e biscotti.  Ad un certo punto un contadino fermò la musica e annunciò che uno dei cacciatori aveva preso una cicogna blu che, secondo la tradizione locale, significava che se qualcuno dei partecipanti aveva la moglie incinta sarebbero nati dei gemelli! La piacevole sorpresa venne proprio in casa mia: la settimana successiva mia moglie ebbe due gemelline! ..

 

Il Club Castrum Silvi, oggi non conta più tanti soci: i vecchi se ne sono andati chi in Florida, chi resta a casa perché non gode ottima salute, chi si riposa in modernissime strutture per anziani e chi… fa festa in Paradiso. Di giovani di sangue silvarolo ce ne sono ancora tantissimi, ma l’attaccamento e il senso di appartenenza al paese che avevamo noi, per forza di cose, si va attenuando…

 Ottavio Scianitti

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