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LU STANGONE SOTTO LU TETTELE”

(Lu “stangone” è un serpente non velenoso che può raggiungere anche i due metri di lunghezza. Viveva nelle nostre campagne ma amava frequentare i tetti delle vecchie case di Silvi paese dove, strisciando sotto le tegole, faceva scorpacciate di passerotti e rondoni. Si dice anche che di notte, quando le puerpere dormivano con i loro lattanti in braccio, questo serpente si incuneava tra madre e figlio e succhiava il latte materno!..)

 

Quando, a causa degli imminenti bombardamenti, fu ordinata l’evacuazione dal paese, tutte le famiglie di Silvi, caricandosi addosso o sui mezzi di fortuna quel poco che poteva salvare dalla distruzione iniziò a sfollare verso l’interno (soprattutto Atri e le sue frazioni). L’unica famiglia che rimase a Silvi fu quella di “lu Spallate” che abitava sotto il cimitero in una casa circondata e, praticamente, nascosta da grandi pioppi e da un folto canneto che la rendeva invisibile sia da sopra che da sotto la collina. Probabilmente fu proprio questa sua particolare posizione che convinse “lu Spallate” a non obbedire all’ordine di evacuazione dei tedeschi. Fatto sta che quella famiglia, mentre tutt’intorno c’era il putiferio, continuò la sua tranquilla vita di contadini come se nulla fosse. La casa  era costituita da un piano superiore in cui erano ricavate le stanze da letto e la cucina e dal piano terra destinato a stalla dove erano allevate le bestie e a cantina nella quale, oltre al vino bianco e a quello fermentato rosso erano custoditi tutti i prodotti della terra e quelli derivati dagli animali domestici (formaggi, salami, prosciutti ecc…). Fuori c’erano un bel pozzo di acqua sorgiva e due grandi alberi di gelso, uno rosso e l’altro bianco.  Insomma in quella casa c’era ogni ben di Dio. Lo sapevano bene tutti quelli che avevano l’occasione di passare lì davanti che trovavano sempre il cancello aperto e il bicchiere pieno di vino pronto per dissetarli… La moglie di “Lu Spallate” si chiamava Concetta che ebbe una bella figlia alla quale posero il nome di Rosetta. Rosetta visse la sua fanciullezza spensierata e senza problemi. Frequentò le scuole elementari al paese dove imparò a leggere, a scrivere e a far di conto… Divenne una graziosa e simpatica signorina che non passava inosservata quando andava al paese. Ezio, il figlio del pescivendolo, se ne innamorò e il suo amore fu subito condiviso da Rosetta. I due innamorati organizzarono un bel modo per vedersi tranquillamente: Ezio scendeva attraverso il canneto senza farsi vedere quando i genitori di Rosetta erano a lavorare nei campi e si infilava nella cantina dove Rosetta gli faceva trovare la porta aperta… Dopo qualche tempo mamma Concetta scendendo in cantina si accorse che all’appello mancavano un po’ di salsicce e di salamini e, stranamente, la pancia della figlia Rosetta cresceva a vista d’occhio… Con la figlia salì al paese da mia madre, che era sua commare, alla quale  rivelò quella strana…coincidenza! Mia madre, che recandosi alla fontana a prendere l’acqua aveva saputo dalle donne  dell’intreccio tra Rosetta e Ezio, liquidò la questione, come si usava in casi imbarazzanti come quello, con una frase: “Cummara Cuncittì, mitte la chiave a la cantine… ‘llà dentre si magne, si beve e si…fa li fije!”.  Udendo quella frase a Concetta si aprirono gli occhi. Si tolse una ciabatta e a colpi di ciabatta riportò sua figlia a casa dove le aspettava “lu Spallate” che quando seppe l’accaduto giurò che non avrebbe più mangiato pesce fino a che viveva!... Proprio in quei giorni accadde un altro fatto che aggiunse il cotto sopra il bollito al povero “Spallate”: quattro pecore, fuggite dalla sua stalla, saltarono in aria per una mina… Intervenne don Angelo, il parroco, che chiamò le due famiglie e le rimproverò perché si stavano perdendo in una guerra inutile e dannosa invece di provvedere a riparare tutto con spirito cristiano e dare ai due giovani e al bimbo che doveva nascere la giusta “sistemazione”: il matrimonio. Don Angelo vinse quella battaglia e le due famiglie riappacificate prepararono una grande festa per la cerimonia a cui seguì un pranzo grandioso dove don Angelo, come al solito, prese una delle sue proverbiali sbronze: zio Giovannino “di lu Frate”, il sagrestano, sudò le sette camice per riportare in canonica don Angelo e la “sporta” piena di viveri per la perpetua…

Agli sposi fu attrezzato come abitazione il secondo piano sottotetto della casa paterna, rimesso in bianco con la calce e arredata alla meglio. Dopo pochi mesi Rosetta diede alla luce un bel maschietto. Poiché i mezzi non mancavano, per far scendere copiosamente il latte a Rosetta la mamma le preparava ogni giorno il brodo e tutti i cibi che, si diceva, favorivano la formazione del latte materno. Il bambino, però, stranamente non cresceva. Fecero il giro dei “mahari” da Ciabarretta e altri dei paesi vicini senza ottenere risultati. I medici non sapevano più cosa dire non sapendo spiegare quel fenomeno… Nella loro famiglia c’era una donna che lavorava per loro, una tale “Bracaletta” che, un giorno, disse a Concetta: “fate fare a me, adesso vedo io se la cosa si può risolvere”. Quando la sera la puerpera andò a dormire  insieme al bambino, “Bracaletta” si ficcò sotto il letto e si pose in attesa. Alle due di notte senti un fruscìo. Si affacciò senza far rumore e vide una scena incredibile: uno “stangone” era sceso dalla trave del tetto, aveva messo la sua coda in bocca al bambino per non farlo piangere e con tranquillità impressionante succhiò il latte dai due capezzoli di Rosetta!.. “Bracaletta”, terrorizzata, non ebbe neppure il coraggio di interrompere… l’intruso.  Ma la mattina successiva raccontò tutto. Il serpente fu catturato e ucciso. Finalmente il bambino cominciò a crescere e venne su bello, forte e coraggioso. Gli rimase, però, un soprannome affibbiato dai compaesani: “magnate di scirpe”!...

Ottavio Scianitti

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