LU FAOCCHIO
Un tempo, tra i mestieri tramandati da padre a figlio c’era quello del “faocchio”, il costruttore dei carri agricoli tirati dai buoi. Non c’era molto da guadagnarci, ma si poteva ancora fare perché il legno di quercia si trovava facilmente e a buon mercato. Io ho visto un “faocchio” all’opera un giorno che mi ero recato alla marina per andare a comprare un po’ di materiale per papà al negozio di Francesco “lu lanare” che si trovava vicino al passaggio a livello “Romanelli” che porta alla Chiesa dell’Assunta (quel negozio esiste ancora ed è gestito da Attilio, figlio di Francesco). Scesi di buon mattino da Silvi Paese. Presi la strada che andava giù verso il Cerrano alla cui foce c’era il mattatoio. Salutai i cugini di mio padre che stavano lavorando al mattatoio e proseguii verso il mare. Fui attratto dal frenetico movimento che c’era tra i pescatori che scaricavano il pesce, quelli che erano già pronti per ripartire con la barca, gli anziani ricurvi che rifacevano le reti poste su cavalletti e le donne che portavano sulla testa ceste (“le coffe”) piene di pesce e quelle che aprivano le spare per far fare colazione ai loro uomini… Chi gridava, chi cantava, qualcuno imprecava… Uno spettacolo unico. Io camminavo con i piedi nell’acqua rimanendo stupito dai salti dei cefali nell’acqua cristallina e mi sentivo coinvolto in quella grandiosa scena dove si vedeva tutta la fatica di quegli uomini valorosi che si dannavano l’anima per mantenere alla meno peggio le loro numerose famiglie… Non esistevano ancora gli ombrelloni e le sdraio, c’erano solo qua e la delle lenzuola sorrette da bastoni dove si riparavano i bagnanti dal sole cocente. Arrivai all’altezza del Comune e attraversai la ferrovia per raggiungere il negozio di ferramenta di “lu lanare” dove presi gli oggetti che mi aveva ordinato mio padre. Uscendo dal negozio vidi, poco distante un movimento di tronchi d’albero, un rumore di sega e colpi di martello. Incuriosito, mi avvicinai e vidi che si trattava della bottega di un “faocchio”. Era uno spettacolo osservare come quella gente lavorava in sincronia, ognuno per creare il pezzo di sua competenza con cui si assemblava il carro! C’era il più anziano che ordinava i movimenti e le operazioni, chi batteva un ferro e lo modellava a mò di cerchio per rinforzare le ruote di legno, chi preparava le paratie… Un ragazzo con un pennellino dipingeva fiorellini sulle ruote e ai lati del carro. Rimasi li per un bel po’ di tempo disattendendo la raccomandazione fattami da mio padre di tornare subito con il materiale richiesto. Stranamente papà non mi rimproverò per il ritardo… Durante la cena, però, mi chiese le ragioni per cui avevo impiegato tanto tempo ad andare alla marina da “lu lanare”. Siccome non sapevo mentire raccontai per filo e per segno quello che avevo fatto e avevo visto nel corso di quella mattinata, dicendo che avevo imparato tante cose nuove. Mio padre annuì soddisfatto e mi disse che avevo fatto bene a fare quella esperienza. Mi disse che conosceva bene quel “faocchio” molto bravo a fare il suo lavoro che era diverso dal suo che richiedeva, trattandosi di mobili, una più alta preparazione artigianale e legnami pregiati. Quando la domenica mattina diversi carri guidati dai buoi venivano in paese potevo capire come erano stati costruiti e cosa rappresentavano per i contadini. Anche il Maestro Perazzitti fu colpito dai carri e dal rumore che facevano sul selciato, tanto che ne trasse ispirazione per comporre una bella marcia! In una delle serate tra silvaroli a Toronto nel tavolo a cui eravamo seduti io e mia moglie Italia capitò un tale Ferruccio e sua moglie. Mi disse che era figlio di “lu faocchio”. Tra un bicchiere e l’altro del nostro Montepulciano mi raccontò la sua storia, una come le tante dei tanti emigrati in Canada. Mi disse che conosceva mio padre e che era venuto in Canada perché non riusciva più a tirare avanti la famiglia con le poche migliaia di lire che il suo lavoro gli assicurava mensilmente. Era il tempo di Gino Terra e della signorina Izza D’Isidoro: il tempo in cui a Silvi Paese erano tutti comunisti… Anche lui gli aveva votato, ma non ne aveva tratto alcun beneficio. Aveva conosciuto sua moglie che abitava vicino alla bottega e che lavorava alla Saila. “A mezzogiorno, per la pausa del pranzo – mi disse – mia moglie passava sempre davanti a me mentre dipingevo le ruote dei carri… Ogni volta mi veniva il cuore in gola. Io le facevo un sorriso e lei lo ricambiava… Ci fidanzammo e ci sposammo e siamo venuti qui in Canada per cercare di dare un futuro migliore ai nostri figli e una prospettiva di lavoro onesto. Ora – concluse Ferruccio – sono contento, ho tutto quello che mi serve… Mi manca solo Silvi!..”. La nostra conversazione fu interrotta da Antonio “lu mulinare” che intonò la canzone “Lu pisciarelle” che ci coinvolse tutti e cominciammo a cantare a squarciagola, grazie anche ai tanti bicchieri di Montepulciano mandati generosamente giù!...
Ottavio Scianitti