Era una domenica di luglio del 1964 di un pomeriggio domenicale noioso. Io e mia mamma eravamo affacciate alla finestra della stanza da letto, in attesa che passasse “O’ spassatiempo” cioè colui che vendeva noccioline, pistacchi e cose varie. Da li non vedevamo il mare, ma solo la strada asfaltata ed arida di sole, ma eravamo appagate di questo momento perché ciò ci bastava come lo stare insieme in attesa di una nuova settimana con le sue solite incombenze. Ma ciò ci bastava perché eravamo in pace con quella strada, con la nostra casa con noi stesse. E’ un anacronismo oggi? Si, è un anacronismo. Oggi niente basta più perché c’è già tutto e non c’è più l’attesa di ipotetiche sorprese. La sorpresa peggiore è il corona virus alla quale non eravamo preparati ne alle distanze sociali. Vediamo il mare, calmo, agitato o pigro e pare che vogliamo assorbire tutto in noi per annegare i nostri pensieri e preoccupazioni. Ci basta questo, ci basta perché è un surrogato della vita se il nostro essere è fatto principalmente d’acqua. Immergo i miei occhi nell’azzurro, immaginandoli dello stesso colore, anziché castani per una simbiosi metaforica e con essi rivolgo la mente a quel pomeriggio del 1964. Rivedo mia madre e la strada che questa volta è inondata d’acqua marina e ringrazio Dio per i miei ricordi di un tempo che fu che mi ha regalato la saggezza d’accontentarmi di quello che ho anche in mezzo al marasma degli avvenimenti negativi. Allora non immaginavamo nemmeno lontanamente l’esistenza di virus tanto nocivo forse perché la vita era meno nociva.