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I ricordi di Ottavio…
LI SCARPUNE

Un tempo per i nostri artigiani non era facile trovare le materie prime e a comprarle nei depositi di Pescara ci volevano i soldi che, però, scarseggiavano. Mio padre, come tutti in paese, sapeva far fruttare il poco di cui riusciva a disporre. Da ragazzini le scarpe non erano un indumento troppo indossato. Praticamente dalla primavera all’autunno, tempo permettendo, si andava in pantaloncini corti e a piedi scalzi! Ma d’inverno le cose cambiavano con il freddo e la neve non si potevano lasciare i piedi senza scarpe. In prossimità della cattiva stagione, mio padre diede una magnifica pelle di bue al calzolaio del paese, zì Marie, con l’intesa che in cambio l’artigiano avrebbe fatto le scarpe a tutta la mia famiglia.
Quando venne il mio turno, andai da zì Marie per fargli prendere le misure. Il calzolaio mi chiese che tipo di scarpe preferivo. Non ebbi alcun dubbio: “zio Mario, gli dissi, con questo tempo da neve mi farebbe piacere avere un bel paio di scarponi”. Passarono alcuni giorni e già cadevano i primi fiocchi di neve. Decisi di andare da zì Marie con le mie scarpe bucate per intenerirlo e mettergli un po’ di fretta... Con piacevole sorpresa zì Marie non mi fece neanche parlare: “ecche li scarpune, Uttà, mò pù capistì tutta la neve chi ti pare!”, mi disse consegnandomi un paio di scarponi sgargianti e forti. Erano davvero belli ma, osservandoli meglio, mi accorsi che sotto avevano solo la suola. Allora chiesi al calzolaio di mettere dei chiodi per evitare di scivolare sulla neve. Zì Marie non se lo fece ripetere due volte e mise una serie di chiodi a punta tonda e grande (“li volle”) sotto gli scarponi. Frattanto fuori aveva “ngasciato” (aveva preso a nevicare forte). Indossai subito gli scarponi e corsi giù verso la loggia dove c’erano già i miei compagni a tirarsi le palle di neve.
I miei scarponi ebbero un grande successo ai loro occhi. Continuammo a tempestarci di palle di neve fino al tramonto. Tornai a casa che era buio, rosso in faccia per la grande fatica affrontata nella battaglia…”nevale”. Quando mi vide, mia mamma capì subito la mia “sguazzonata” e togliendosi una ciabatta me ne fece sentire il tacco sulla testa.
Ero lì vicino al fuoco del camino con le mani in avanti per riscaldarmi… la botta presa in testa mi fece sobbalzare e scivolai sul pavimento a causa dei chiodi che avevo sotto gli scarponi finendo con la gamba sinistra tra le fiamme del camino... Ne venni fuori gridando per il dolore con una vasta ustione, le cui tracce sono tuttora visibili. Ci vollero due mesi di amorevoli cure del dottor Bindi che passava ogni mattina per la medicazione, per tornare quasi normale!...

Ottavio Scianitti