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“Pataciò”

Era un pomeriggio afoso di un agosto particolarmente calda. Decisi, allora, di andare giù alla loggia per sentire un pò di sollievo grazie a quel fresco venticello che lì soffia sempre!... Dopo la bella boccata d’aria pensai di ripercorrere la stradina che prendevo per andare a scuola, quand’ero bambino. Nella piazzetta che sta dopo la curva, dove solitamente i pescatori stendevano ad asciugare e riaggiustare (‘armacchià) le reti, seduti attorno ad un piccolo tavolo traballante c’erano cinque “soggetti” che facevano la “passatella” a carte: Amerigo “Zuchette”, Giorgio di “Muntagnole”, Fritucce di “Maione”, Lione “di lu sceme” e “Pataciò”, il capo indiscusso, con la testa pelata e bruciata dal sole e la sua imponente corporatura.

Non vi dico le grida, le bestemmie, le discussioni e le ingiurie che si scambiavano durante il “tresette”!... Mi fermai per gustarmi la scena e accesi uno dei mei sigaretti al cognac. I cinque furono calamitati dall’odore del mio sigarillo e mi guardavano facendomi capire che non sarebbe stata una cattiva idea condividere con loro quella gustosa fumata… Ne diedi uno ciascuno e loro si sentirono subito in obbligo verso di me: ”dai Uttà, vi’ quà, intre a fa la passatelle ‘gnhi ‘nù!”. Mi venne una sorta di tremarella al pensiero di ficcarmi in quel…casino. Loro erano, ormai, quasi ubriachi ed io non è che avessi più di tanto la voglia di bere anche perché ero a stomaco vuoto!… Ma non potevo, certo, dire di no. Riprese la partita tra i quattro giocatori sempre più “condita” di parolacce,  ingiurie e sfottò. Finita la partita, si passò alla “passatella”. Nel frattempo la piazzetta si era riempita di curiosi per assistere allo spettacolo e per prendere in giro chi andava “olmo”, ossia quello a cui non si offriva mai da bere. Mi accorsi che avevano intenzione di farmi ubriacare: o ero “padrone” o ero “sotto” o non ero niente mi obbligavano sempre a “scolare”!...  Intanto si faceva sera e le stelle già trapuntavano  il cielo senza nuvole: in parecchi attendevano il buio per vedere  le stelle cadenti (era il 10 agosto, giorno di S. Lorenzo). Si continuava a bere, ma nessuno pensava a far portare qualcosa di solido da mettere nello stomaco per “aiutare”, almeno un po’ ad alleggerire il peso dell’alcool. Chiamai un ragazzo gli diedi dei soldi e gli dissi di andare da Rachele, moglie di “Fuffette”, che aveva il negozio a fianco alla Chiesa, a comprare dei panini imbottiti con roba varia (prosciutto, mortadella e formaggio) e, ovviamente, due  fiaschi di Chianti Ruffino. Dopo la bella e abbondante merenda i cinque si alzarono: era ormai l’ora di scendere giù alla marina per andare a pesca!... Non vi dico i ringraziamenti e le pacche che midiedero sulle spalle prima di prendere la scorciatoia che li avrebbe portati giù verso la foce del Concio dove li attendevano i compagni di barca, tutti tranne Pataciò che rimase lì con me. Li vidi scendere canticchiando e fischiettando allegramente: andavano verso il loro duro lavoro, ma era l’unico modo per dare sostentamento alle loro famiglie! Quella era la loro vita: il mare, le onde , le tempeste, le stelle, il sole che sorge, la fatica delle reti da tirare a bordo, del pesce da sistemare, la fatica per varare e ritirare le barche… E, poi, la famiglia che era tutta la loro vita e…la passatella, unico momento di svago. Intanto la loggia si era riempita di villeggianti tutti con gli occhi puntati verso il cielo per vedere le stelle cadenti ed esprimere un desiderio… “Pataciò – dissi al vecchio guerriero – ma tu non vai in mare?”. “No, mi rispose, ormai sono troppo vecchio e non ho più le forze necessarie; però sono più utile di un marinaio perché sono un bravo retiere e senza di me non potrebbero pescare!”… E, poi, aggiunse, indicandomi con la mano il cimitero: “Vedi quelle fiammelle che salgono e scendono dalle tombe? Quelle sono le anime dei nostri defunti che  vengono dal Cielo!...”: era quello che in paese la gente semplice si tramandava da secoli identificando i cosiddetti “fuochi fatui”, i gas che con il caldo intenso esalano dalle tombe, con le anime dei loro cari che tornavano per far sentire sempre la loro presenza… Era quasi l’alba. Invitai “Pataciò” ad andare a dormire. “No, Ottavio – mi disse – aspetto che tornino i pescatori e mi riportino la scaffetta, tu vai, vai”. Fumammo l’ennesimo sigarillo, mentre “Pataciò” volle sapere tutto su di me e la mia attività in Canada… Gli chiesi come facesse a comunicare con i suoi amici pescatori  quando rientravano con le barche. “Ecco – mi disse – qual’è il segnale”. Si Tolse una scarpa e con quella colpì violentemente due volte sul palo della luce della loggia che si spense!.. Andai a letto con la sensazione di aver vissuto intensamente e proficuamente una giornata indimenticabile…mentre il sole iniziava ad annunciarsi con un quel rosso a fasce che spuntava all’orizzonte sul mare: una visione stupenda che nessun artista potrà mai  rappresentare in tutta la sua straordinaria bellezza!...

Ottavio Scianitti

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