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LA SCIABICA

Il venerdi sera avevo fatto tardi seduto sul muretto della chiesa. Con i soliti amici avevamo parlato a lungo di ciclismo: Bartali, Coppi, Magni… Con noi c’era anche Mimì “Fuffett”,di Giacumucce, tifoso pazzo di Coppi. Il dibattito sul ciclismo durò un po’ e tutti dicevano la loro. Ci fu un mio coetaneo giovane che ebbe da ridire su Coppi: “stu mucculose – gli disse il buon Mimì con la sua eterna aria nervosa - chi caz ni si tu, di biciclette?”.  Le risate salivano sino al campanile, mentre dalle finestre c’erano donne che si godevano lo spettacolo. Silvi, la mia Silvi piangeva, godeva, amava, condivideva tutto: eravamo uniti, senza eccezioni. Andai a letto tardi. Dormivo perché ero stanco, quando sentii bussare alla mia finestra che era ancora notte. L’aprii e vidi che era il mio bisnonno Aldobrando: “su  forza - mi disse – vestiti”. Io, ancora assonnato gli chiesi dove saremmo dovuti andare a quell’ora? “Tuo padre sa tutto ,oggi ti porto con me…”.  Ci incamminammo prendendo la strada chiamata li critune che portava a Cerrano.  Arrivati nei pressi della foce del Cerrano vedemmo Bellisario che impartiva gli ordini mentre un gruppo di uomini stavano facendo ’’la sciabbica”.  Seduto su una piccola duna di sabbia mi gustavo il sole che stava sorgendo dal mare come una palla di fuoco e accendeva tutto, il mare e le colline, di un rosso meraviglioso. Non parlava nessuno, mentre gli uomini camminavano con discrezione in mezzo all’acqua tenendo la rete. Si sentivano solo le onde marine che dolcemente si infrangevano sulla riva, quasi carezzandola… Alle nostre spalle la collina era cosi bella illuminata dal sole  che sembrava una scultura creata dal nostro Signore… Avevo l’impressione di essere in uno studio d’arte a godermi i colori e le forme di mille quadri disegnati da artisti straordinari:  tremavo per l’emozione; il senso di benessere che provavo era indescrivibile… Ad un tratto il mio bisnonno mi svegliò dall’incantesimo in cui ero entrato stendendomi un bel panino con salame e formaggio insieme ad un bel bicchiere di vino… Era l’ora della colazione. Nel frattempo gli uomini che stavano facendo la sciabica, ogni volta che tiravano la rete a terra la svuotavano di molto pesce saltellante: una scena che mi sarebbe piaciuta riprendere con una cinepresa per tramandarla ai posteri!... I pescatori si spartivano il pesce sistemandolo nelle loro “coffe”: era il loro cibo e anche, eventualmente, la merce per guadagnare i soldi per tirare avanti la famiglia. Quando, ormai, era giorno, giunsero le donne dei marinai con le ceste per ritirare la “parte” del loro pescato. Intanto si vedevano le grandi vele delle prime lancette che tornavano dalla pesca con le donne che aspettavano a riva, mentre i piccoli pescatori riportavano una bella quantità di seppie prese con le loro nasse fatte a mano con i vimini… Nel frattempo l’arenile si era animato per la presenza di tante persone, tra parenti e probabili acquirenti. Quei marinai improvvisati che facevano la sciabica erano tutti operai della fornace che stava li vicino (dove oggi c’è il Centro Commerciale Universo) con i quali, ogni tanto Bellisario, titolare della fornace, organizzava la pescata… La sciabica e le nasse diedero un ottimo risultato con una gran quantità di pesce e di seppie. Il mio bisnonno prese un bel po’ di seppie. Tornati a casa, nonna Lucia sgranò gli occhi nel vedere tutte quelle seppie e chiese al bisnonno come le voleva cotte. “Lucì – rispose – va ju a la campagna nostre e cuje li biscille: massere magneme secce e biscille!”. La sera si organizzarono dei lunghi tavoli con le “cuoche” per eccellenza, “Sciuscelle” e zà Paratucce aiutate da altre donne friggevano il pesce fresco e preparavano il sugo di papera per le tagliatelle all’uovo ammassate da loro stesse; zia Carmela, addirittura, preparava dei dolci straordinari di Natale; il fornaio portava il pane fresco e quelli che avevano “ucciso” il maiale portavano salsicce e salami… Eravamo una vera famiglia dove ciascuno condivideva con gli altri quello che aveva di buono. Immancabili erano don Angelo, il parroco, e Giuvannine “di lu frate”, sagrestano. Era proprio don Angelo ad aprire l’attacco a quel ben di Dio che era sui tavoli con una breve benedizione: un veloce segno di croce e via alla mangiata! Dopo la prima abbuffata iniziavano le danze al suono del “dù botte” di Livino: polche, saltarello, mazurche e quadriglie a non finire con i fiaschi di vino sempre pronti a ridare… benzina ai ballerini assetati e accaldati… Quando ormai i bicchieri non si contavano più e si stava facendo notte, ciascuno racimolò quel che era avanzato: sarebbe stato il pasto gustoso per il giorno successivo. Fu don Angelo a chiudere la festa gridando a Giovannino, lu frate, che era ora di andare via perché mancavano, ormai poche ore, per la S. Messa mattutina… Erano bei giorni. Giorni che oggi neppure potremmo immaginare possano essere esistiti: l’amicizia fraterna tra i paesani, la condivisione con gli altri del poco che ciascuno aveva, la spensieratezza e l’allegria che solo il buon vino può assicurare!... Bei tempi, amici mei… Che ricordi!...

Ottavio Scianitti 

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