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Spicchi storia silvarola (seconda parte)
IL RUGGENTE DECENNIO 1965/1975
Le liste “civiche”, la “mafia” DC, i fermenti nel PCI e il nuovo nel PSI
Come nel resto dell’Italia, anche a Silvi gli anni ’70 furono caratterizzati dai grandi movimenti politici e culturali, dalle innovazioni e dai cambiamenti del modo di pensare, di vedere le cose e di proporsi. Quel passaggio fu “sorvegliato” dal giovane maresciallo comandante dell’allora piccola stazione dei Carabinieri giunto nel giugno del 1967 da Sulmona, Rocco Di Biase, classe 1928 che poteva contare su due soli fidi collaboratori (Carlo Acquaviva e Vincenzo Vito). Di Biase ebbe il merito di “entrare” come un buon padre di famiglia nel tessuto sociale della cittadina che stava crescendo in abitanti e in mini appartamenti, con discrezione cercando sempre di prevenire anziché reprimere, con particolare attenzione ai giovani. Da lui si andava per avere consigli e lui aveva la capacità di “entrare” nelle situazioni difficili, persino famigliari, trovando il più delle volte i giusti “rimedi”… Ma era anche forte e determinato nei casi di fenomeni malavitosi che si facevano sempre più insistenti man mano che quelli della mala pescarese, incalzati dalle forze dell’ordine di Pescara, si rifugiavano a Silvi, considerata un’isola felice a pochi chilometri dalla città e dai loro “affari”. Una cosa, in particolare ricordo di quella sorta di tre moschettieri: avevo netta la sensazione (già allora avevo “Silvi 15” e scrivevo, come cronista sul quotidiano “Il Tempo”) che si considerassero e, fossero, in realtà, in servizio 24 ore su 24! Li trovavi sempre ed erano sempre pronti ad intervenire anche in casi di particolare pericolo. Negli ultimi anni di servizio Di Biase trovò anche il tempo di laurearsi in Giurisprudenza: da anni, dopo il pensionamento, svolge attivamente la professione di avvocato!... Dalle ceneri del boom economico degli anni ’60, ai primi segnali dell’arrivo di un tempo difficile e fino alle due crisi energetiche (1973 e 1979), venne fuori, grazie al grado di acculturazione che nel frattempo era cresciuto notevolmente, una nuova classe politica, soprattutto nei piccoli partiti, dove, per la prima volta, i giovani iniziarono ad imporsi come alternativa alla vecchia, logora, personalistica e, come veniva comunemente chiamata, in senso ironico, “mafiosa” gestione che aveva fino ad allora caratterizzato soprattutto la vita della DC, ma anche, pur se in maniera meno spregiudicata, quella del PCI e, in parte, il PSI, i tre partiti principali rappresentati sempre in Comune. In fatto di rinnovamento, radicale e rivoluzionario parve quello dei cosiddetti “giovani socialisti” che riuscirono a fondersi e a creare un circolo che non era solo un centro ricreativo ma un vero e proprio laboratorio politico. I frutti di quella impennata di giovinezza (Gilberto Dell’Elce, Roberto Costantini, Gianfranco D’Isidoro, Sergio Bianchi, Domenico Corneli, Roberto Mazzone, Antonio Pomante ed altri ancora) intelligentemente sostenuta da alcuni “veterani” che si erano staccati dalle vecchie logiche di partito arrivarono e furono anche importanti per Silvi. Da quel ceppo germogliò un rigoglioso gruppo che riuscì a conquistare moltissimi giovani che smossero la cheta vita di Silvi, notoriamente sonnacchiosa e scarsamente propensa ad accettare il “nuovo”. Fondarono un circolo AICS, grazie anche alla generosità dell’ex consigliere regionale Dino Di Giuseppe che aveva realizzato l’attuale quartiere “La Rinascita” nell’unica area 167 esistente. Quel circolo oltre che un punto di incontro e di ricreazione divenne un vero e proprio laboratorio politico, per merito dei giovani socialisti che riuscirono ad aprire le porte del loro piccolo partito a tutti. Il PCI e la vecchia guardia DC, soprattutto, non vedevano di buon occhio quel movimento del PSI temendo, a ragione, che quella sorta di terremoto avrebbe potuto colpire anche i loro “poteri” fino ad allora saldamente stretti in pochissime e potenti mani (prima Barabaschi, poi Francesco D’Isidoro e il suo clan dove figuravano capi di potenti famiglie che riuscivano a condizionare i movimenti ufficiali della DC, talora con la complicità sotterranea dei boss PCI, come ho scritto nel precedente articolo). Nel PCI, inizialmente la tenuta fu forte grazie alla federazione provinciale che mandò a Silvi un funzionario di ferro, dalle grandi capacità organizzative (proveniva dal sindacato), il “compagno” Armando Frezza, che nel partito, praticamente, aveva carta bianca grazie alla sua forte carica e alla incondizionata fiducia che godeva sia in federazione che tra tutti gli iscritti locali al PCI ai quali dedicava con ammirevole impegno molto del suo tempo e della sua esperienza nel campo sindacale. Una grande mano gliela diede un giovane e promettente professore, Peppino Cameli, che proveniva dalla roccaforte “rossa” di Silvi Paese. Era unanimemente (e giustamente) considerato il vero futuro del PCI silvarolo per la sua cultura, le sue indubbie capacità amministrative e la generale simpatia che riscuoteva tra giovani e vecchi “compagni”. A Peppino Cameli, all’epoca, tutti pronosticavano, anche gli avversari politici, un futuro importante da deputato o, quanto meno, da consigliere regionale. Contro i grandi partiti “vecchi” e incapaci di rinnovarsi furono create le prime forti liste civiche. La prima, detta “la Torre”, non seppe, in verità, far fruttificare il buon risultato elettorale che Silvi gli assegnò, quasi inopinatamente. Nelle elezioni del 1970, infatti, ebbe un buon successo con l’elezione di ben tre consiglieri: Izza D’Isidoro, storica leader del PCI fuoruscita perché in rotta con Frezza, Pietro Battaglia, medico capace e ben voluto da tutti e “uomo nuovo”, e il compianto, grande oratore e trascinatore di folle, Dante Orsini (ex missino). Quella giunta presieduta dal giovane e promettente DC Vitaliano Mazzitti durò circa un anno. Finì bruscamente affondata da un siluro lanciato, manco a dirlo, da due suoi amici di partito, Damiano Agostinacchio e Domenico Ianieri, per via di una lottizzazione non vista di buon occhio dal sindaco Mazzitti per via del “nun s’ha da fa!” imposto dal segretario DC D’Isidoro che dall’esterno dettava tempi e modi di gestione del Comune. Seguì un biennio di gestione commissariale. Nelle elezioni del 1973 un’altra lista civica ottenne due consiglieri capeggiati da Franco Mastrangelo, fatto fuori dalla DC, di cui era stato fino a poco tempo prima apprezzato segretario e amico personale di Remo Gaspari, dalla combriccola che faceva capo a Francesco D’Isidoro, “l’esattore”, che ne prese saldamente e spavaldamente il posto. La DC ottenne 8 consiglieri, il, PCI 7, tre il PSI (Mazzone, Di Giovanni e Serafini). Ovviamente i numeri per fare una giunta l’ebbe la sinistra con i due “indipendenti” e sindaco fu eletto il giovane medico Pietro Battaglia che, però, per la vicenda della lottizzazione Pierangeli, non ebbe lunga vita. A lui successe il prof. Cameli che restò in carica per circa un anno. Seguì l’ennesima gestione commissariale fino alle amministrative della primavera del 1976. Nel frattempo all’interno della DC era successo uno sconquasso: Francesco D’Isidoro, che certo non brillava per intelligenza e acume politico quanto, invece, per la sua prepotenza (che gli derivava anche dal fatto di avere le spalle saldamente protette, per via dei suoi voti congressuali e di preferenza, i boss DC teramani gaspariani e lo stesso ministro Gaspari), spaccò il partito in due tronconi. Il troncone della protesta era guidata dall’ex sindaco Vitaliano Mazzitti a cui si erano associati due rappresentanti della sezione “nataliana” DC di S. Stefano Gaetano Dell’Elce e l’allora giovane giornalista, allievo del grande maestro Lamberto De Carolis, Franco Costantini, che faceva capo, appunto, al ministro Lorenzo Natali. Quel gruppo, ancorché minoritario rispetto ai gaspariani, annoverava personaggi importanti della vita politica e culturale silvarola quali Luigi Giusti, Gaetano Dell’Elce e Lamberto De Carolis e l’ex direttore della Tercas di Silvi Elvio Malvezzi e, prima ancora da Damiano Agostinacchio che ne fu l’ispiratore e il promotore. La lista (detta “Le spade”) ottenne un significativo successo. Furono eletti consiglieri comunali, nell’ordine, Mazzitti, Dell’Elce e il sottoscritto. Nulla potè il diabolico D’Isidoro che, pure, in quella circostanza era riuscito a “riabilitare” perfino Franco Mastrangelo (sempre benvoluto dalla gente ed eccellente “portatore” di voti) e riuscì, persino, a convincere quel vero, gran signore che era Emilio Barabaschi a mettersi in lista nella DC nel tentativo di recuperare e vincere le elezioni. Ma la DC finì clamorosamente all’opposizione. I tre consiglieri eletti nella lista civica, in verità, tentarono in extremis un accordo con la DC, ma quando pretesero garanzie sia sulla formazione dell’esecutivo che sulla gestione democratica del partito trovarono in D’Isidoro scarsissima comprensione. Anzi ci accorgemmo, nell’ultima di una serie di incontri con la DC che D’Isidoro cercava furbescamente di ingannarci, per, poi, scaricarci e “bruciarci” definitivamente. Ma, come si è detto, la sua malcelata furbizia non poteva contare su accertate e solide basi culturali e di intelligenza poitica. Il suo motto era (sapeva qualcosa di latino, che allora si insegnava anche alle scuole medie) “divide et impera” che, per chi non conosce il latino, significa “fai litigare e dividere i tuoi avversari se vuoi comandare”. E non nascondeva affatto il suo modo di fare dispotico e prepotente. Questo perché dalla sua aveva, come si è detto, la parte forte della DC teramana, quella gaspariana che faceva capo all’on. Tonino Tancredi che, in una memorabile riunione del comitato provinciale DC in cui si paventava un rinnovamento nella classe dirigente DC di Silvi (a quel Comitato provinciale era presente anche chi scrive), disse testualmente “non m’importa se la DC a Silvi si spacca in 100 pezzi, ma D’Isidoro non si tocca!”. E a lui si dovette quietare anche quel gran signore che era Emilio Mattucci, che poi divenne il più grande e rimpianto presidente della Giunta regionale che ha avuto l’Abruzzo, il quale, con la sua inconfondibile intelligente arguzia ammonì i presenti dicendo: “A Silvi con Francesco D’Isidoro non si vince, ma sappiate che senza Francesco D’Isidoro si perde!”. Fu così che io, Mazzitti e Dell’Elce decidemmo di accettare di incontrarci con la delegazione PCI. In meno di 48 ore le due delegazioni disegnarono una piattaforma programmatica condivisa e un accordo politico sull’organigramma: il sindaco sarebbe stato per due anni e mezzo un uomo del PCI e per gli altri due anni e mezzo uno della lista civica. All’opposizione finirono DC e PSI. Sindaco fu eletto (allora lo eleggeva il Consiglio comunale) il giovane e promettente professore di Lettere, Peppino Cameli, vice sindaco l’altrettanto giovane sottoscritto e assessore ai LL. P.P. Vitaliano Mazzitti. Fu anche la legislatura che vide la prima di una lunghissima serie di elezioni in Consiglio comunale, di Peppino Di Febo, giovane dipendente delle Ferrovie dello Stato, che assunse l’arduo compito di dirigere la squadra degli operai addetti ai lavori esterni (raccolta dei rifiuti, giardinieri, muratori, stradaioli ecc…). Peppino dava l’esempio alle sue squadre presentandosi sui luoghi di intervento prima ancora degli stessi operai che seguiva con attenzione tenendoseli sempre buoni con il suo “saper fare” e i suoi modi garbati. Un vero esempio di come fare l’amministratore significa essere al “servizio” della comunità. Le sue benemerenze “politiche” successive (fu sindaco dal 1994 al 2004) ne furono una logica conseguenza. Peppino, certamente non un uomo di “cultura”, con la sua semplicità e con il suo indiscusso impegno – nonostante i vari bastian contrari che ha avuto la disavventura di trovare nel suo stesso partito – è riuscito a portare a casa dei buoni risultati che sono ancora oggi alcune delle poche cose realizzate negli ultimi vent’anni a Silvi: il nuovo impianto d’illuminazione sul lungomare, la passeggiata in betonella artisticamente decorata, la realizzazione del progetto di piazza Marconi, che da anni giaceva impolverato negli scaffali dei Lavori Pubblici, con l’artistica e monumentale opera in bronzo realizzata dal grande Ireneo Ianni ed altro ancora. Dieci anni di amministrazione sono tanti e, si sa, lo smalto dei primi anni gli amministratori alla fine del loro secondo mandato (è la storia di sempre!) lo perdono e con lo smalto perdono anche le elezioni, purtroppo. Ma delle altre diverse maggioranze che si sono susseguite dal 1976 in poi e della vicenda della “acrobatica” approvazione nel 1970 del Piano di Fabbricazione, parleremo nei prossimi numeri (se ci saranno…) di Silvi 15.

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