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…Il dopoguerra a Silvi

Erano gli anni dell’immediato dopoguerra. I campi di grano, del nuovo grano nato dopo la guerra, erano rigogliosi e simbolicamente stracolmi di papaveri rossi che stavano, forse, per chiudere definitivamente la triste storia del “nero” imposto dal fascismo… Gli americani ci avevano liberati dagli ultimi panzer tedeschi. La paura dei bombardamenti aveva lasciato il posto al ritorno delle rondini, al cinguettìo degli uccelli e al gracidare forte e corale delle cicale in quelle giornate di caldo infuocato. La gente cantava “bandiera rossa”… anche se dalla Russia furono in parecchi a non tornare più al paese. Altri ritornarono dalle diverse zone di guerra o dai campi di prigionìa, alla spicciolata e con mezzi di fortuna. Alcuni persino mutilati… Silvi Paese era “rossa” per eccellenza e inneggiava alla Russia, anche se, in verità, a liberarci furono proprio gli americani che ci furono di grande aiuto con i loro famosi “pacchi” che contenevano cibo, vera manna per la gente ancora affamata per la guerra appena finita. Da Santa Margherita di Atri, dove eravamo sfollati, tornammo  su carretti malandati e cigolanti: ma eravamo con il cuore carico di gioia! La natura era nel suo pieno rigoglio. I campi sembravano dei quadri di Cascella con una miriade di fiori colorati. Di tanto in tanto si scorgeva il mare con le alte vele delle paranze spiegate al vento… Si tornava a casa… Si tornava alla vita… Si tornava alla gioia… Quando arrivammo sulla piazza agli uomini in camicia nera si erano sostituite le donne con le gonne rosse e gli uomini con i foulard al collo dello stesso colore. Il campanile rintoccò tre volte: erano le tre del pomeriggio e il sole picchiava come fiamme di fuoco. Mia nonna Lucia entrò in Chiesa: aveva fatto un voto a S. Leone che se fosse tornata sana a e salva al paese avrebbe fatto la sua prima visita proprio a lui, il protettore di tutti noi. Mi sorprese un fatto particolare, quando entrai in chiesa. Mio zio Massimucce, “lu furnare”, notissima camicia nera ai tempi del fascio che partecipò anche alla marcia su Roma, stava all’armonium (l’organo a pedali della chiesa) e suonava con incredibile disinvoltura l’aria di “Bandiera rossa”… Una decina di giovani, che si fecero passare per “partigiani”, si impossessarono della sede comunale creando anche paura perché possedevano un vero e proprio arsenale di armi che, peraltro, non sapevano neppure usare… Ma a cambiare le cose ci pensarono ben presto i “nobili” del paese che vivevano, per la maggior parte, giù alla marina. Organizzarono feste e cene (oggi in campagna elettorale si fanno le porchette, a quanto pare… tutto il mondo è paese!) offrendo cibo e vino a volontà… Intanto riprendeva anche la “vita” con i veglioni in cui si ballava al suono di orchestre improvvisate di ex bandisti (Pisille al sassofono, Ciferni al clarinetto, Eduardo il postino al tamburello, Pasquale ai piatti, Michele (il padre del nostro direttore Costantini), barbiere, alla fisarmonica.  Mentre per i marinai c’era il costante pericolo di imbattersi nelle mine, i contadini stavano meglio perché avevano potuto seminare e raccogliere… Antonio Cavalangia saliva in paese in bicicletta per attaccare i manifesti di propaganda per le imminenti elezioni nazionali… Dal mondo, nel frattempo giungevano, attraverso le poche radio in circolazione, gli echi del bombardamento atomico su Hiroshima e Nagasaky, dei tantissimi dispersi in Russia, del ritrovamento dei terribili campi di concentramento nazisti… Finalmente, dopo mesi dal ritorno alla normalità, anche le dispense della gente del paese cominciarono a riempirsi di ogni ben di Dio: salsicce, prosciutti, lonze, formaggi… Nel forno di famiglia si cuocevano le prime porchette dall’odore straordinario che riempiva tutte le strade del paese… Il mondo era cambiato, anzi, stava cambiando: la politica prendeva il sopravvento con le lotte tra le fazioni dei comunisti, dei democristiani e dei nostalgici del re… Si chiuse un capitolo e se ne aprì un  altro: l’emigrazione. Da Silvi partirono intere famiglie che costituirono vere e proprie colonie in Canda, negli Stati Uniti e nel nord Europa… L’Italia scelse di essere una repubblica. La gente si corciò le maniche e nacquero, pian piano, tra cambiali e tratte, tante piccole attività artigianali e armatori di barche che, nel tempo, hanno determinato il progresso e la crescita di Silvi… Oggi, purtroppo, siamo rimasti in pochi tra quelli che hanno vissuto quegli anni duri e difficili, ma siamo qui a testimoniare dei nostri sacrifici, delle nostre sofferenze, delle fatiche ma anche dei progressi che portarono, verso la metà degli anni ’60 al famoso boom economico, impensabile solo quindici anni prima dopo la disastrosa e terribile seconda guerra mondiale… Un esempio per le nuove generazioni? Noi ci speriamo…

Ottavio Scianitti

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