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(Per questa volta “rubo” la rubrica all’amico Ottavio Scianitti, al quale, peraltro, farà anche piacere ricordare con me certi avvenimenti…)

Siamo, dunque, al rendez-vous. Lunedi sapremo se Silvi avrà già, in prima battuta, un sindaco nuovo e una maggioranza o chi saranno i due candidati sindaci ad andare al ballottaggio con le loro liste e i probabili accoppiamenti. Comunque andrà, sarà stata una discreta esperienza. Anche per me che di campagne elettorali ne ho fatte tante e ne ho viste di tutti i colori: dai tempi del dualismo DC-PCI fino ai nostri giorni. Ieri sera mi sono fermato lì in piazza Marconi, mi sono seduto dietro il pino “storpio” e mi sono messo a pensare sul tempo che mi sembrava trascorso come un volo di gabbiano… I bei tempi dei grandi comizi in cui si parlava “anche” di politica e non in politichese ma con parole chiare: ci susseguivamo su palchetti improvvisati o, addirittura, su camioncini (era la specialità di Armando Frezza) con rudimentali strumenti di amplificazione tipo megafono che erano a forma di tromba (il buon MassimuccioMazzitti li chiamava  “li ‘mmittelle”, cioè  imbuti, proprio per la loro forma). I comizi, poi, erano autentici capolavori di oratoria quando a parlare erano le persone “colte”, come Peppino Cameli che se li preparava con una meticolosità degna di un principe del foro. Alcuni dicevano che, addirittura, faceva le “prove” per ore davanti allo specchio… Il sottoscritto, invece, improvvisava soprattutto perché era chiamato quasi sempre in extremis a sostituire i personaggi politici che, come al solito, all’ultimo momento davano forfait mentre la gente aspettava impaziente. A tal proposito vi racconto cosa mi è successo una volta a cavallo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ‘70. Era la sera della chiusura di una infuocata campagna elettorale in occasione di elezioni per il rinnovo dei due rami del Parlamento. Noi della DC  avevamo prenotato in Comune dalle 22 alle 23 perché, com’era consuetudine, la chiusura della campagna elettorale a Pineto, Silvi ed Atri era affidata al compianto presidente Emilio Mattucci, grande oratore che, in successione, teneva il comizio di chiusura nelle tre cittadine. Senonché erano ormai le 22,20 ma Mattucci non si vedeva e il pubblico si era stufato di sentire continuamente l’inno DC “Bianco fiore”. Ad un certo punto dalla tribuna (il balconcino della Casa De Luca di fronte al Miramare) scese Francesco D’Isidoro, segretario politico locale del partito, e venne diritto verso di me e con un tono non proprio amichevole mi disse: “lufije di ‘SSundì, luprufissore (Mattucci) è n’amiche tò. Allore, mosaje e falle tu lucumizije e ‘st’attentea quelle chi dice!” (perché io ero Nataliano e lui Gaspariano…). Colto di sorpresa davanti alla gente non seppi opporre resistenza. Salii sulla tribuna e iniziai a parlare. Man mano che andavo avanti con il discorso mi accaloravo sempre di più. Mentre ero proprio al culmine dell’argomentazione politica e stavo per trarre le conclusioni, arrivò trafelato Mattucci che aveva fatto tardi a Pineto. Attese un paio di minuti sperando che io chiudessi, ma resosi conto che le mie conclusioni richiedevano ancora del tempo, mi si accostò, prese in mano il microfono e disse con un’accattivante sorriso in dialetto: “Uè, lusilvarò, damme ‘ssùmicrofone si nòmo mi ti frichelumistire!”. E fu così che, con un ruffianesco complimento, riuscì, finalmente a parlare nell’ultimo quarto d’ora a disposizione… Da ragazzo ricordo gli infuocati comizi di Bruno Di Blasio (versione comunista), di Ivo Pacchione e di Mimì “Fuffette”, una vera furia scatenata, un comunista di quelli davvero convinti che infiammava la “rossa” Silvi Paese, roccaforte del PCI. Poi, vennero quelli delle prime liste civiche che ebbero nel mio compianto cugino Dante Orsini (siamo nati lo stesso giorno!) un autentico oratore che riusciva ad esaltare e a far riaccendere i cuori dei nostalgici del Duce con i suoi discorsi in cui le vicende storiche del passato si coniugavano mirabilmente con le vicende umane vissute da chi lo ascoltava. Era talmente abile a conquistare la loro simpatia e fiducia che le conclusioni (votare lui e la sua lista) apparivano sempre come una “logica” conseguenza, buona e giusta se si voleva il bene della città e dei propri figli!.. Pur essendo un semplice “ragioniere”, con il diploma conquistato a suon di prosciutti, aveva una padronanza della lingua e una capacità discorsiva da fare invidia a chiunque!.. Verso la fine degli anni ’60 il PCI mandò a Silvi un suo funzionario che aveva ben operato tra gli operai in Svizzera conquistando simpatie e consensi per le lotte combattute e vinte per conto dei “compagni lavoratori” italiani. EraArmando Frezza, che, dopo intense giornate di assistenza gratuita e generosa ai “compagni bisognosi” riusciva a fare anche 5 o 6 comizi tra la Marina, Silvi Paese e le contrade. La gente umile lo ascoltava come fosse un profeta perché ne aveva sperimentate le alte qualità umane e sapeva che credeva davvero in quello che diceva. Poi, quando anche i partiti della sinistra persero il loro smalto, il loro grande fascino e il loro carisma Armando si tirò in disparte, ma senza mollare mai, neppure quando la malattia lo stava consumando… Poi venne “Mani pulite”… Addio partiti e, con essi, i comizi. Iniziò ufficialmente l’epoca delle cene e delle porchette e degli incontri nei locali… E la storia, per ora, si è fermata qui, tra porchette, cenette e aperitivi cenati… Cosa verrà dopo? Lunedi lo cominceremo a capire, forse.

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