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“Gine di Piluse”, lu marinare

Ero a Silvi per una vacanza. Una mattina mi alzai presto, al suono della campana della Chiesa che annunciava l’Ave Maria. Ero giovane e pimpante. Di corsa scesi. Lungo la scorciatoia verso la marina per godermi lo spettacolo delle barche che tornavano dalla pesca. Poco prima del Cerrano, fui attirato dall’odore irresistibile delle pizzonde appena fritte che proveniva da un piccolo stabilimento in legno costruito dal maestro falegname, la buon’anima di Deo Mancinelli  (diventato, successivamente, un bel lido “Piè d’oro”, dove, mi dicono, si mangiano ancora delle ottime frittelle). Mentre mangiavo la pizzonda accompagnata da un bianco frizzantino con gassosa, mi si sedette accanto un signore. “So Gine di Piluse – mi disse – so spusate la fije di Miccichelle, Fiuminucce, vicine di casa vostre”.

Mi accorsi che aveva voglia di parlare e, con me, trovò proprio la persona adatta! “Chi fi a Silvi, Ottà?” mi chiese. Gli risposi che erano già quattro anni che non tornavo e che sentivo nostalgia del paese. Nel frattempo arrivarono altri pescatori abitué delle pizzonde di Deo. Tra quelli riconobbi un mio parente, “Lione di Majone”. Gli chiesi come era andata la pesca. Mi rispose che non aveva preso quasi nulla. “Zitte – mi disse all’orecchio “Gine di Piluse” – ni ‘jacrede: quesse è ‘nu cripate e ‘ndì vo da manche ‘nu vrudittucce!”. Io il brodetto lo volevo prendere perché avevo una voglia matta di riassaporare il pesce del mio mare. Intanto il discorso con Gino riprese. Mi disse che era imbarcato su una grande nave atlantica con la quale solcava gli oceani di tutto il mondo. Conosceva bene Québec,sia quella vecchia sulla collina che quella nuova sul grande fiume Saint Laurent che collega la città con l’oceano. Quel bacino, in passato, è stato il luogo dove rimanevano bloccate per mesi le navi pirate irlandesi, spagnole e norvegesi intrappolate dal ghiaccio… Da li partivano e arrivavano navi di tutti i tipi e grandezza che trasportavano merci e pesce di ogni genere che conservavano in giganteschi frigoriferi prima di essere distribuiti in ogni parte del mondo. Gino, continuando il suo appassionante racconto, mi disse che loro pescatori avevano molte serate libere e scendevano a terra andando a bere birra, rum e il portwein (un vino che i portoghesi bevevano come caffè…) nelle diverse bettole dove si giocava a carte, si facevano persino le “passatelle” e    c’era anche la possibilità di incontrare “donnine”. Gino aveva fatto una bella amicizia con un pescatore norvegese, un tale di nome Derrick la cui famiglia aveva una piccola attività di costruzione di piccole imbarcazioni, chiamate “dory”, fatte così alla buona (ogni anno le dovevano cambiare per sicurezza) che i pescatori usavano per la pesca dei grandi merluzzi che poi si lavoravano per fare il baccalà. La pesca avveniva con una serie di ami, nei quali mettevano come esche pezzetti di aringhe, attaccate ad un lungo filo. Non usavano le reti, perché, dicevano, altrimenti i merluzzi si sarebbero rovinati.   La signora del lido ci portò una bella e fumante pizza che mangiammo con gusto. Ad una certa ora dissi a Gino che dovevo andare a comprare il pesce per il mio brodetto… “Ottà – mi disse Gino – lu brudette è belle e cotte da zijete che c’aspette a la casa me!”. Tornato a Toronto, organizzai con un mio amico un viaggio a Montréal per assistere alle Olimpiadi del 1976. Da lì proseguimmo per Quebec, una grande città caratterizzata dalle diverse etnìe che vi avevano vissuto. Dall’alto della città domina la grande statua di S. Giovanna D’Arco. Laggiù, sul fiume si incrociavano grandi navi da pesca, petroliere e navi da carico. La città era illuminata da mille luci che ne facevano un paesaggio da fiaba… Hotel 5 stelle, servitù in livrea, lusso nei negozi e per le strade. Il giorno successivo scesi nella parte bassa della città e fu lì che conobbi Derrick. Era proprio come me lo aveva descritto Gine di Piluse: cordiale, accogliente e intelligente. Mi portò nel suo capannone dove c’erano in costruzione e già costruite decine di “dory” che venivano adoperate ancora dai pescatori di merluzzo come “usa e getta”.  Ce ne n’erano alcune in miniatura ed erano davvero belle. Ne acquistai una in vetro di circa un metro di colore blu marino. A Toronto la mostrai ad un amico che aveva un ristorante di pesce e gliela offrii per esporci il pesce… Fu un’idea geniale! Ebbe un successo strepitoso, tanto che pensai di farne un business, vista la richiesta che avevo. Parlai con Derrick e con lui feci un accordo che ha portato quelle belle opere d’arte in tutto il mondo, dal Giappone all’Australia, oltre che in America. Ogni volta che gli facevo un ordine c’era sempre da aspettare per la grande richiesta che aveva… In alcune di quelle barchette ho fatto scrivere persino il nome del mio caro paese “Silvi”….

 

 Ottavio Scianitti

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