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ricordi silvaroli

Antonio Perazzitti: un falegname con i fiocchi.

Antonio era figlio di Leone Perazzittti, apprezzato suonatore di bombardino che, per la sua bravura era conteso da diversi corpi bandistici, sicché andava spesso in giro a suonare. Leone possedeva anche una rivendita di sale e tabacchi e una bella sala da gioco dove si svolgevano accanite “passatelle” domenicali tra i pescatori. Era fratello del maestro Francesco Perazzitti e di mia nonna Laura. Qualche mese prima di partire mia madre mi mandò da  Antonio a Silvi Marina dove aveva la sua avviata falegnameria, ma non perché io imparassi l’arte ma perché fossi “avviato” alla vita, ai problemi connessi con la realtà diversa da quella del piccolo paese dove ero vissuto fino ad allora. A Silvi in quei giorni ci fu, tra l’altro, una vera e propria eccezionale invasione di tonni e in tutte le case si facevano i famosi vasetti dopo aver lessato pezzi di tonno!... Antonio prese a cuore la richiesta di mia madre e iniziò con il raccontarmi la sua travagliata vita trascorsa al paese con la sua matrigna e un fratellino. La matrigna non aveva molta simpatia per lui. Mia madre e sua moglie erano molto amiche perché avevano trascorso la gioventù insieme. Una mattina mi disse”Ottavio riposati per un paio di giorni perché ho da sbrigare alcune faccende personali. Però dopo ti farò fare una bella esperienza”. Due giorni dopo arrivò il fattore di donna Lilla con il suo calesse che ci caricò e ci portò in una grande azienda agricola nella vallata del Vomano. Antonio, che godeva di una buona fama di falegname e restauratore,  doveva risistemare gli infissi rovinati dal tempo del grande edificio di campagna. La padrona di casa ci sistemò in uno stanzone situato al secondo piano. Accanto vi era la fornitissima dispensa tenuta,però, ben chiusa a chiave!... Non c’erano letti e dormimmo per una intera settimana per terra sulla paglia con il freddo che si faceva sentire forte. In compenso mangiavamo abbastanza bene: ogni mattina la colazione, condivisa con i contadini che poi andavano a lavorare ai campi, consisteva in formaggio fritto, uova fritte con il guanciale e del vino. Per pranzo e cena, immancabilmente, c’erano le tagliatelle e tanta frutta. Tanta frutta che la notte era tutto un correre dietro le fratte per la diarrea…In quella settimana imparai a conoscere Antonio: preciso e instancabile nel lavoro, sempre con il sorriso sulle labbra, anche quando le cose non andavano per il verso giusto. Per me fu una vera lezione che non ho più dimenticato nel corso della mia vita. Qualche tempo dopo (io ero già sposato con la mia Italia) eravamo su un autobus che da Silvi ci portava a Pescara. Proprio di fronte a noi c’era Antonio con la moglie e i figli. Con il suo solito sorriso accattivante mi chiese: “Ottà, come vanno le cose?”. Io, passando la mano sulla mia pancetta risposi sorridendogli: “Va mije, va mije, ‘gnore mastre!”… Durante il nostro fugace sguardo ripassarono nella nostra mente, come le scene di un film, le dure esperienze che avevamo vissuto insieme e le vicende che un tempo scandivano le giornate al nostro paese…

Ottavio Scianitti