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periscopioAnche Silvi ha vissuto il suo referendum, anche a Silvi i NO sono stati più numerosi dei SI, 63% contro il 37%. Anche a Silvi si è festeggiato e pure molto, manifestazioni di gioia, atteggiamenti da stadio e c’è ancora qualcuno che non ci crede abbastanza, così continua a dire “ho vinto” e qualcun altro a gridare “hai perso”, forse per ripeterlo più a se stesso, perché poi, proprio come ogni partita di calcio, si torna a casa e si ritrovano gli stessi problemi, la stessa disperazione o la medesima spensieratezza del momento. Finora, la vittoria non ha prodotto gli effetti attesi sul governo centrale e c’era da immaginarselo. Il Capo del Governo, pur dimettendosi pare ne sia uscito rafforzato personalmente e pare ancora che facesse tutto parte di un suo piano B. Ma torniamo a Silvi, anche se essa non si discosta tanto dal trend nazionale. Partiti e schieramenti hanno organizzato le loro serate con foga: il M5S locale è apparso il più dinamico e deciso per il NO con la sua affollata assemblea all’Hotel Giada, anticipata dal PD silvarolo sicuro della bontà della Riforma in una composta e intensa riunione all’Hermitage. SEL ci ha provato pure a confermare il suo NO, sebbene in una saletta ristretta e con una manciata di soli attivisti; il centrodestra ha improvvisato un gazebo in pieno mercato rionale per annunciare il suo congiunto NO. Latitante la Lega, evidentemente non rappresentata a Silvi. Quindi ha vinto il SI, ma su tutti ha soffiato il vento della incoerenza, rilevata nello schieramento del NO che per raggiungere quel 67% ha messo insieme comunisti, fascisti, grillisti, leghisti e forzisti. Inutile ribadire che si sono guardati sempre in cagnesco e nella fase preelettorale si sono dati pugni nello stomaco per digerire l’alleanza. Quindi nell’aria politica, si respirava già qualcosa fuori dalle righe, qualcosa che stonava rispetto ad una normale chiamata elettorale. Il fronte vincente del NO era costituito da una moltitudine ideologica così variegata, anzi opposta tra i componenti, che la loro tensione intrinseca, naturale e genetica non ha tardato ad imbarazzare e ad avere effetti tutto sommato prevedibili. Fino al momento dell’urna, la strana alleanza è riuscita quindi a mordere il freno, a vincere poi, a festeggiare un giorno e a dormire con gioia una notte, ma dal dì successivo ogni tensione ha fatto saltare i rapporti ponendo fine ad ogni festa, anzi dando inizio ad una danza di vanti e di primati indispensabili per la vittoria, rivendicati stranamente e soprattutto da chi ha meno contribuito, dimenticando tout court la forza determinante dell’alleanza. Così, si è cominciato con le scaramucce sul merito della vittoria e, dopo proclami di parte rivendicanti il proprio status ideologico, è calato un silenzio surreale…Forse gelati dalla decisione del Capo dello Stato di dare un nuovo mandato al Governo, sebbene con premier diverso, cosa che sancisce la “sconfitta della vittoria” e vanifica ogni sforzo di rinnovamento auspicato. C’è da sperare, che si rifletta costruttivamente perché dopo tanto baccano pare che nulla si sia risolto, anzi si sono spesi tanti preziosi soldi per assistere semplicemente al solito cambio delle persone al Governo, ma non delle intenzioni. Certo è invece, che se la Riforma fosse passata avremmo 315 stipendi senatoriali in meno da pagare, che equivalgono a circa 50 milioni euro di risparmio annuo che avremmo potuto dirottare verso i terremotati, già dal 2017! I componenti del CNEL fanno sapere che ringraziano tutti, ma proprio tutti. (pdf)