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periscopioDi tanto in tanto, la tensione che sprigiona una parte dell’opposizione politica all’Amministrazione silvarola si taglia a fette, come banco di nebbia che impedisce ad essa la visione reale delle cose e dei fatti. Tensione più stravagante che giustificata dagli eventi, molte volte infantile ma sempre drammatica, che rimanda a motivazioni profonde, a frustrazioni lontane dall’essere sopite. Cose da dilettanti, con l’aggravante dell’arroganza. Certo è, che l’Amministrazione funziona, è vitale, dignitosa, vicina al Cittadino, finalmente alla portata di chiunque la chiami in causa nel bene e nel male: eppure, quella parte dell’opposizione scalpita, anzi scalcia come puledro impazzito che non si lascia cavalcare dalla ragione, dal buon senso, da un vigore intellettivo capace di saper aspettare il momento opportuno, di mantenere una calma indispensabile in certi momenti storici della politica. Penso che questo sia ampiamente acclarato dalle sue battaglie inutili e deprimenti finora condotte. Di contro,  c’è  un’altra parte dell’opposizione che attende sorniona momenti più propizi, che manda avanti i fessi, forse godendosi alla finestra il can can autodistruttivo della prima, il bau bau degli arrabbiati che non hanno mai avuta fissa dimora ideologica, che abbaiano in vece di essa e che si presentano goffamente con avventata presunzione .  Perdenti, che trovano la loro “ragion d’essere” in una frustrazione incontenibile, impossibile da domare e da celare, anche se in Consiglio Comunale tentano con sforzi ciclopici di abbottonarsi per palesare un abbozzo di aplomb democratico, dialogico, che rasenta a volte il ridicolo se si mette a confronto con le loro esternazioni  perfide sul viale, con i  loro commenti velenosi sui social network, con i loro comunicati feroci tra i propri accoliti in diminuzione drastica. Ma la cosa che li rende inaccettabili e fuori da ogni mondo politico è manco a dirlo la loro conclamata avversione alla critica (non a caso!), tendendo a demonizzare chiunque mette in dubbio le proprie fallaci concezioni, peggio ad “eliminare”  chi li pizzica nell’incongruenza, nei loro difetti e cantonate più eclatanti: e allora reagiscono cercando follemente (e quindi inutilmente) di oscurare l’avversario, definendolo “macchina del fango”, bannandolo nei social network, ostracizzandolo dalla propria mente, rimuovendolo dal proprio inconscio, imponendo a se stesso un’isteria castrante e privante persino dei contatti umani, quelli veri. Presi dal loro rancido animo infatti, non sono più in grado di distinguere il rapporto politico da quello personale, saldandoli nell’unica lega che conoscono: un egoismo esasperato dalla propria impotenza comunicativa, in cui c’è spazio solo per quello che si affannano a gridare, anzi a sgridare in un logorroico esistenzialismo fuori dalla portata di ogni ragionevole etica. Questi, più inclini al monologo che al dialogo, semplicemente non possono e non devono stare in politica se è vero, come è vero che chi si misura  in una rappresentanza pubblica ha l’obbligo di aprirsi alla critica, anzi la ritiene motivo di crescita e di confronto essenziale per la propria comprensione, per l’elaborazione dei suoi concetti e dei suoi obiettivi sociali. Un buon politico è tutt’altro, cerca l’avversario e l’esigenza delle sue istanze, per scovarne l’intelligente intento concentrato a deporlo, a controllarlo, ma anche a dargli dritte a volte molto promettenti per la sua missione. Già, per un buon politico… Per i citati, è cronico tabù.