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editoriale

“Son tornate a fiorire le rose...”. Iniziava con queste parole una bella canzone italiana degli anni ’30 che noi, nati nel dopoguerra, abbiamo avuto il piacere di ascoltare dalla voce, dai mandolini, dalle chitarre e dalla fisarmonica dei “Catucchi”, un quintetto strumentale formato da ultrasessantenni che a cavallo degli anni ’70 e ’80 caratterizzava le serate estive silvarole nei bar, nei ristoranti, negli hotel e, talora, su strade e piazze con le canzoni, i valzer, i tanghi, le polche, le melodie delle operette musicali e i primi “ritmi” del fox... E si, le rose continuano ogni anno a fiorire, nonostante le guerre, nonostante le devastazioni ambientali, nonostante l’ISIS, Trump, Kim Jong-un (leader maximo della Corea del Nord), i politici europei, nazionali e regionali! E di “nonostante” ne potremmo aggiungere ancora tanti, inserendoci anche noi, ciascuno di noi, per quello che non abbiamo fatto, per quello che non facciamo e, soprattutto, per quello che continuiamo a fare male. Si ha un bel dire “le cose vanno male”, se, poi, noi ne siamo, se non direttamente la causa, almeno in parte co-imputati. Lo Stato siamo noi. La Regione siamo noi. Il Comune siamo noi. La nostra Costituzione garantisce ai cittadini la democrazia, ossia la libertà di scegliere chi ci deve rappresentare nelle varie Istituzioni. Prima di sceglierli dovremmo fare molta attenzione distinguendo i leoni dai cerbiatti, i buoni dai cattivi, i sinceri dai perfidi, quelli che hanno sale nella zucca dagli stolti, gli onesti dai ladri... È difficile, anche perché non si contano in politica i lupi che si presentano in veste di agnelli. Dobbiamo stare molto attenti, ma mai rinunciare a “scegliere” liberamente chi ci dovrà governare. Non scegliere, non votare, significa spianare la strada ai banditi della politica, dell’economia e della morale. Rischiamo, talora, di “abboccare”? Non fa niente. Meglio abboccare sbagliando da soli che subire passivamente le imposizioni degli altri. Questo è un discorso che non tutti hanno voglia - forse anche a ragione - di ascoltare. Però non dovremmo mai rinunciare a partecipare attivamente, con i mezzi a disposizione, alla vita della città, alla scelta degli indirizzi generali verso cui dovrebbe orientarsi l’azione dell’amministrazione locale (su indicazione dei cittadini, appunto). “Faber est suae quisque fortunae”, sosteneva Appio Claudio il Cieco: ciascuno è il vero artefice della propria esistenza. Se ci troviamo dove siamo, se viviamo questo nostro tempo, se ci sentiamo stressati dai problemi esistenziali e vitali che caratterizzano la nostra vita quotidiana, è soprattutto, se non soltanto, perché noi lo abbiamo scelto e voluto. Quando dico “noi” intendo riferirmi all’insieme dei singoli individui che formano i vari strati dell’ordinamento sociale: la famiglia, la città, la regione, la nazione... È facile cedere alla tentazione di scrollarsi di dosso ogni responsabilità personale e mettere tutte le colpe per le cose che non vanno bene sulle spalle degli altri. Ma non è così che si risolvono i problemi e si pianifica il futuro delle nuove generazioni...